
LASCIARE PER RITROVARSI
Riflessione ispirata al libro "The Great Resignation" di Russ Hill e Jared Jones
C’è un momento, in ogni percorso professionale, in cui la stabilità smette di rassicurare e inizia a pesare.
Non avviene all’improvviso. È un lento risveglio, fatto di domande che tornano a bussare con forza:
“Ha ancora senso?”
“Chi sono diventato?”
“Cosa sto sacrificando in nome della sicurezza?”
Recentemente ho letto il libro "The Great Resignation" e non è soltanto l’analisi di un fenomeno globale. È uno specchio.
Riflette un cambiamento profondo che attraversa il lavoro e chi lo abita. Racconta di professionisti leali che, a un certo punto, scelgono di lasciare.
Non per capriccio.
Non per stanchezza.
Ma per coerenza.
Quando la fedeltà smette di essere reciproca
Per anni, restare a lungo in un ruolo è stato sinonimo di affidabilità. Ma cosa succede quando la fedeltà diventa una gabbia? Quando ciò che un tempo dava senso, inizia a sottrarlo?
Hill e Jones mostrano come la pandemia abbia accelerato un cambiamento già in atto. L’interruzione della routine ha restituito lucidità: molte persone hanno visto con chiarezza non solo la fatica, ma la verità.
“Non si può mandare il 70% della forza lavoro globale a casa senza aspettarsi un cambiamento profondo nelle priorità personali.”
— The Great Resignation
La vera domanda, oggi, non è “perché se ne vanno?”, ma “perché non trovano più un motivo per restare?”.
Non è (solo) una questione economica. È una questione di senso.
Le dimissioni vengono spesso associate al desiderio di stipendi più alti. Ma i dati raccontano altro.
Secondo il MIT Sloan Management Review, la causa principale del turnover non è il compenso, ma una cultura tossica — dieci volte più rilevante dello stipendio.
Altri motivi frequenti:
• Mancanza di riconoscimento
• Leadership inefficace
• Scarso equilibrio tra vita privata e lavoro
• Assenza di crescita e flessibilità
All’inizio si tollera. Con la maturità, ci si interroga. E si sceglie.
Perché non si lascia per fragilità. Si lascia per dignità.
Lasciare per riallinearsi
Un tempo cambiare lavoro era visto come instabilità. Oggi è spesso un atto di lucidità.
Non si tratta solo di nuove opportunità esterne — smart working, mobilità, nuovi modelli. Il vero cambiamento è interno: le persone si autorizzano a scegliere.
• Di non restare dove non si cresce più
• Di lasciare ruoli che non riflettono più chi si è
• Di allineare ciò che si fa con ciò in cui si crede
Lasciare, oggi, è un modo per tornare fedeli a sé stessi.
Il talento non si trattiene. Si ispira.
Quando se ne vanno anche i professionisti più leali, non è una sconfitta individuale. È un segnale sistemico.
Un leader consapevole non si chiede “come trattenere le persone”, ma:
“Cosa posso creare perché valga la pena restare?”
Serve un cambio di paradigma: dal controllo al significato.
Ecco cinque leve concrete che i leader possono attivare:
1. Restituire senso al lavoro
Le persone restano dove sentono che il proprio tempo ha valore.
Esempio: Patagonia lega ogni attività a una missione chiara: “We’re in business to save our home planet.”
Risultato: alta retention, forte identità e orgoglio condiviso.
Cosa fare:
• Collegare ogni progetto a uno scopo autentico
• Comunicare l’impatto del lavoro quotidiano
• Parlare di “perché”, non solo di “quanto”
2. Ascoltare davvero
Non bastano le survey anonime. Serve empatia attiva.
Esempio: In Microsoft, l’ascolto è sistematico. Il CEO Satya Nadella ha trasformato la cultura aziendale mettendo al centro l’intelligenza emotiva.
Cosa fare:
• Introdurre spazi reali di ascolto
• Restituire risposte, anche quando non sono soluzioni
• Agire sui feedback, anche in piccolo
3. Coltivare appartenenza, non solo presenza
Esempio: Durante i licenziamenti del Covid, Brian Chesky (Airbnb) ha comunicato con empatia e rispetto. Anche chi è stato lasciato ha continuato a parlare bene dell’azienda.
Cosa fare:
• Comunicare con autenticità, anche nei momenti critici
• Celebrare storie, non solo performance
• Creare rituali che rafforzino il senso di comunità
4. Offrire orizzonti, non solo obiettivi
Esempio: Salesforce investe nella mobilità interna, coaching e percorsi di sviluppo.
Le persone non devono andarsene per crescere.
Cosa fare:
• Chiedere: “Dove vuoi essere tra due anni?”
• Offrire percorsi laterali, non solo verticali
• Facilitare contaminazioni e progetti trasversali
5. Essere guida, non solo manager
Esempio: Alan Mulally (Ford) ha guidato l’azienda attraverso la vulnerabilità, premiando chi portava problemi reali, non solo risultati perfetti.
Cosa fare:
• Mostrare umanità, anche nell’incertezza
• Dare valore all’autenticità, non alla perfezione
• Essere esempio prima ancora che direttiva
Una leadership allineata è il primo antidoto alla fuga silenziosa.
Il mondo del lavoro sta cambiando.
Le persone stanno cambiando.
I leader che sapranno cambiare con loro — prima ancora delle strategie — costruiranno organizzazioni in cui la fedeltà sarà una scelta, non un vincolo.
Oggi non vincono le aziende più rigide.
Vincono quelle più vere.
Perché lasciare non è abbandonare. È scegliere.
In conclusione
La Great Resignation non è una moda. È un movimento culturale.
Una richiesta collettiva di senso, dignità, autenticità.
Oggi, non cerchiamo solo un impiego.
Cerchiamo un posto che ci assomigli.
Che cresca con noi.
Che ci permetta di essere integri.
Anche dopo anni.
Anche quando fa paura.
Perché a volte, dire basta,
non è lasciare qualcosa.
È tornare a casa.